Stampa: Economia
Uomini e lavoro alla Olivetti
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Il libro è giunto alla seconda ristampa. È stato presentato, tra l’altro,
a Torino il 19 ottobre 2006, presso
la Sala Congressi del
Sanpaolo Imi di Torino (Via Santa Teresa 1G).
Interventi di: Laura Olivetti, Presidente della
Fondazione Adriano Olivetti, Luciano Gallino,
Nerio Nesi e Alessandro Casiccia.
Presenti gli autori e molti fra gli intervistati per il libro.
L’impaginazione e i collegamenti ipertestuali in questo sito sono a mia cura. In calce riporto una serie di collegamenti per approfondire il tema.
L’Utopia Olivetti
di Corrado Stajano
"Voglio anche ricordare come in questa fabbrica, in questi anni, non abbiamo mai
chiesto a nessuno a quale religione credesse, in quale partito militasse o ancora da quale
regione d’Italia egli e la sua famiglia provenissero".
Sono parole dette da Adriano Olivetti ai lavoratori di Ivrea
il 24 dicembre 1955.
Sembra di sognare a leggerle nella loro limpidezza democratica, dedica di
questo libro sconvolgente di cui nessun giornale ha finora scritto. Si capisce
l’imbarazzo.
Perché Uomini e lavoro alla Olivetti, pubblicato dalle edizioni Bruno Mondadori, è un atto d’accusa spietato e rigorosamente documentato che mette a nudo i comportamenti di uomini di grande rilievo del mondo economico finanziario tra passato e presente. Curato da Francesco Novara, Renato Rozzi e Roberta Garruccio, con una postfazione di Giulio Sapelli, è una radiografia affascinante e insieme dolorosa di una fabbrica, di un modo d’intendere l’industria al di là dell’indice dei profitti e offre un’immagine che è davvero il contrario di buona parte della classe dirigente nostrana che anche nelle ultime storiacce ha rivelato quel che è, sia dal punto di vista professionale sia da quello etico-civile.
Gli autori Francesco Novara, responsabile del Centro di psicologia Olivetti
fino al 1992, professore nelle università di Torino e di Milano e
Renato Rozzi che lavorò anch’egli al Centro di psicologia Olivetti
negli anni Sessanta, psicologo di formazione psicoanalitica e fenomenologica,
professore nelle università di Trento e di Urbino, firmarono, nel 1980,
con Cesare Musatti e Giancarlo Baussano,
un saggio importante sulla psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti,
Psicologi in fabbrica.
Questo nuovo libro si fonda su un loro saggio sociopolitico di grande spessore
che storicizza quel che è accaduto alla Olivetti e permette un giudizio
globale, e su 25 corpose interviste di Roberta Garruccio, ricercatrice di Storia
economica alla Statale di Milano: "Una raccolta sistematica di testimonianze
che costituiscono assai più un’etnografia che una storia dell’impresa".
Una narrazione a più voci che si intersecano tra di loro. I protagonisti sono gli uomini - una sola donna - che hanno avuto funzioni nodali nei diversi settori della Olivetti. Ne è uscito un mosaico assai vivo di memoria, di umanità, di caratteri, di documento, il tutto legato dal mastice del saggio di Novara e di Rozzi. Una fabbrica vista quasi fosse una persona. Con il cervello di Adriano, industriale e uomo anomalo, di somma intelligenza creativa, con le vene e le arterie di quanti hanno lavorato nelle sue fabbriche e sono diventati i portatori consapevoli e anche inconsapevoli di quella cultura avanzata e al di fuori degli schemi.
La storia della Olivetti è, fino a un certo momento, una storia di
libertà. Se si pensa a quel che era la Fiat negli anni Cinquanta e anche
in seguito, ai reparti confino, alle trame padronali con Sogno e
con Cavallo, al clima militare imposto da Valletta,
alla furia antisindacale, alle schedature dei dipendenti - 354mila, di
cui 150mila dal 1967 al 1971 - scoperte in una perquisizione, il 5 agosto
1971, dall’allora pretore Raffaele Guariniello, si
capisce come sia stato astralmente lontano il clima respirato alla Olivetti.
Adriano possedeva libertà intellettuale e politica, aveva la capacità
e il genio naturale di tirar fuori dagli uomini anche quel che loro non sapevano
di possedere. "Io non ho passato in me. In me non vi è che futuro".
Si riferiva all’impresa. Guardava sempre avanti, era un ricercatore nato.
Ma non ripudiava di certo il passato che ben conosceva nelle forme dell’arte
e della scienza. Era inimmaginabile il suo agire imprenditoriale per gli uomini
del grigio conformismo industriale. Nel 1952 ci fu una crisi di sovrapproduzione.
Due direttori insistevano perché venissero licenziati 500 operai. Consapevole
della validità dei prodotti olivettiani reagì licenziando i due
direttori, raddoppiò la forza vendita in Italia, fece assumere 700
venditori, creò nuove consociate estere, superò la crisi.