Stampa: Economia
Uomini e lavoro alla Olivetti
L’Utopia Olivetti, di Corradio Stajano
pagina 2/3
Con Adriano e per Adriano hanno lavorato architetti famosi o che famosi
diventeranno, designers, scrittori, poeti, sociologi, scienziati della politica
e dell’organizzazione industriale.
Si pensi che, tra gli altri, hanno lavorato all’Olivetti Paolo Volponi,
Franco Momigliano, Luciano Gallino, Geno Pampaloni,
Giovanni Giudici, Giorgio Fuà, Bobi Bazlen,
Ludovico Quaroni, Franco
Ferrarotti, Furio Colombo, Tiziano Terzani,
Franco Fortini, Bruno Zevi,
Ottiero Ottieri, tanti altri che, curiosamente, quando se
ne andarono dall’Olivetti, non entrarono, i più, in altre aziende,
ma fecero altri mestieri.
Quali sono stati i caratteri dell’Olivetti, le sue unicità?
L’azienda non licenziava, al di là di un piccolo turnover fisiologico.
Riusciva a farlo attraverso un lungo processo di riconversione del personale.
Fu tribolato, drammatico il passaggio dalla meccanica all’elettronica.
Perché quell’azienda poteva comportarsi in quel modo? Perché
il suo modo di seguire e formare le persone era proiettato in avanti. La
Olivetti sapeva sperimentare già allora modelli formativi avanzati che
il sistema nazionale non è riuscito ancora a darsi. L’azienda di
Ivrea aveva capito più di mezzo secolo fa l’importanza della ricerca,
la cui assenza è, oggi, in un momento di crisi grave, anche un buco
nero culturale, irrisolvibile, sembra, con personaggi di mediocre cultura.
I servizi sociali della Olivetti furono modelli inarrivabili. Le madri e i bambini furono tutelati con dedizione da quell’azienda laica senza i retorici richiami alla difesa della vita fatti dai papisti odierni. E poi: le innovazioni olivettiane del lavoro di cui il Centro di psicologia è stato uno dei punti centrali, hanno applicato soluzioni organizzative valide ancora nel tempo presente, riconosciuto a livello europeo: il lavoro era modificabile soltanto tenendo conto degli uomini che lavorano, proposizione politica decisiva quarant’anni fa, nel periodo della maggiore tensione sindacale.
L’Olivetti non aderì alla Confindustria che l’avversò. Adriano morì nel 1960. C’è un prima e un dopo. In tutte le interviste quella data è richiamata. La cesura, però, non è immediata. Quello che aveva seminato Adriano dura un pè di tempo. Molti che non l’hanno conosciute seguitano a lavorare come se lui fosse ancora tra loro, con le sue idee di libertà.
Poi che cosa accade? L’azienda, per il suo straordinario sviluppo, ha
bisogno di capitali.
Arriva soprattutto la Fiat, c’èlo zampino degli
americani che ostacolavano, anche per ragioni militari, il sorgere in Europa
di industrie elettroniche. Nel 1964 il presidente è Bruno Visentini.
Il professor Valletta, in un’assemblea della Fiat, rassicura un azionista:
"Sul futuro dell’Olivetti c’è un neo da estirpare".
Il neo è l’elettronica, orgoglio e vanto dell’azienda,
la cui vendita alla General Electric è fatale e dissennata.
Una testimonianza di Ottorino Beltrami, eminente dirigente
della Olivetti, è illuminante. Durante un viaggio in America per prendere
contatto (finto) con le General Electric, l’ingegner Beltrami viaggia
con Aurelio Peccei ’il proconsole della Fiat in
Olivetti’: - Che furia c’è di trattare così
in fretta? -, Peccei mi rispose: - Ingegner Beltrami, io ho stima di
lei, per carità! Però, guardi, queste cose sono cose già
discusse: non ne possiamo discutere, sono al di sopra di me".
Era Valletta, insomma che decideva".
Nata nel 1908, produttrice via via di macchine da scrivere, addizionatrici,
telescriventi, calcolatrici, macchine per calcolo, registratori di produzione,
personal computer, una gigantesca rete di stabilimenti in tutto il mondo,
74mila dipendenti (1972): il 12 marzo 2003 l’Olivetti è cancellata
dal listino della Borsa italiana. Nel 1978 l’arrivo di Carlo De
Benedetti è uno choc. "C’era in lui un senso di
fastidio per tutto ciò che in azienda ricordava ancora lo stile di
Adriano", dice uno dei massimi dirigenti, l’ingegner Truant.